Il principe ranocchio o l’Enrico di Ferro
Le fiabe non sono solo delle storie da narrare ai bambini. Sono dei tesori al cui interno possiamo trovare simboli e chiavi in grado di rappresentare il nostro mondo interiore e di descrivere le situazioni che viviamo. Sono perciò utilissime anche in età adulta, per capire noi stessi meglio e un po’ di più e per dare voce a tutto ciò che sentiamo e proviamo.
Oggi ti propongo di andare alla scoperta della fiaba “Il principe ranocchio o l’Enrico di Ferro”, che ho rielaborato e riadattato dall’originale raccolto dai fratelli Grimm. Dopo la storia, troverai un breve spiegazione di un paio di simboli della fiaba e un suggerimento su come reimpiegarla per te. Buona lettura e fammi sapere nei commenti se ti è piaciuta!
Il principe ranocchio o l’Enrico di Ferro
Nei tempi antichi, quando desiderare era possibile, aveva senso e serviva realmente a qualcosa, c’era un re, le cui figlie erano tutte bellissime, ma la più giovane era così bella che perfino il sole, che nel suo passare di cose belle ne aveva viste tante, sempre si meravigliava, quando con un suo raggio le accarezzava il volto. La principessa risplendeva infatti di una luce particolare.
Il re e le sue figlie vivevano in un castello, accanto al quale si trovava un grande bosco, fitto e pauroso. Dentro il bosco, in una radura, sotto un vecchio tiglio, c’era una pozza d’acqua, fresca e chiara. Nelle ore più calde del giorno, la giovane principessa andava nel bosco e sedeva sul ciglio di quella fonte naturale. Quando era proprio annoiata, prendeva una palla d’oro, la lanciava in aria e la riprendeva al volo. Questo era il suo gioco preferito.
Avvenne un giorno che la palla d’oro della principessa non atterrasse tra le mani che lei tendeva verso l’alto, ma cadesse per terra. La giovane non riuscì a riprenderla: la palla rotolò, infatti, veloce fino alla fonte e finì nell’acqua. La principessa la cercò con lo sguardo, ma la fonte d’acqua era profonda, tanto profonda che non si vedeva il fondo. Non l’avrebbe più trovata e ripresa. La palla era ormai persa. La principessa scoppiò a piangere. Piangeva sempre più forte e disperata, tanto che sembrava nessuno la potesse mai consolare. Mentre piangeva, una voce, a un tratto, le domandò: «Che hai, principessa? Piangi che fai pena persino ai sassi».

La principessa si guardò intorno, per vedere da dove provenisse la voce, e vide solo un ranocchio, che spuntava dall’acqua con la sua grossa testa. «Ah, sei tu, vecchio ranocchio!» disse. «Piango per la mia palla d’oro, che m’è caduta nella fonte». «Calmati e non piangere» rispose il ranocchio, «ci penso io; ma che cosa mi darai, se ti ripesco il tuo tesoro?». «Quello che vuoi, caro ranocchio» disse la principessa, «ho vesti preziose e pregiate, perle e gioielli. O forse vuoi la mia corona d’oro?». Il ranocchio rispose: «Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua corona d’oro io non li voglio. Ma se mi vorrai bene, se potrò essere il tuo amico e compagno di giochi, se potrò sedere con te alla tua tavola, mangiare dal tuo piatto d’oro tanto prezioso, bere dal tuo bicchiere di cristallo, dormire nel tuo letto morbido, caldo e sicuro, ecco, se mi prometti questo, mi tufferò e ti riporterò la palla d’oro». «Ah sì» disse la principessa, «ti prometto tutto quel che vuoi, purché mi riporti la palla». Ma pensava in realtà dentro di sé: «Cosa va blaterando questo sciocco ranocchio, che sta nell’acqua a gracidare coi suoi simili? Non può essere amico di una creatura umana!».
Intanto, ottenuta la promessa, il ranocchio aveva messo la testa sott’acqua, dato un guizzo ed era tornato, nuotando, in superficie. Aveva in bocca la palla e la buttò sull’erba. La principessa, piena di gioia nel riavere il suo bel giocattolo, lo prese e corse via, per tornare al castello. «Aspetta, aspetta!» gridò il ranocchio, «prendimi con te, io non posso correre come fai tu!». A che gli servì gracidare con quanto fiato aveva in gola? A nulla. La principessa non l’ascoltò e corse a casa veloce come il vento. Si dimenticò subito del povero ranocchio e della sua promessa.
Il giorno dopo, mentre la principessa era seduta a tavola col re e tutta la corte e mangiava dal suo piatto d’oro, il ranocchio, che era uscito dallo stagno e aveva speso quasi tutte le sue forze a saltare il giorno prima, durante la notte e per tutta la mattina del nuovo giorno per raggiungere il castello, salì a grandi balzi la scala di marmo del palazzo. Quando fu in cima bussò alla porta e gridò: «Principessa, piccolina, aprimi!». La principessa corse a vedere chi fosse là fuori, ma, quando aprì, si trovò davanti il ranocchio. Chiuse in fretta la porta con un colpo secco e tornò, bianca in volto, di corsa a sedere a tavola. Il re, vedendola agitata e spaventata, le chiese: «Di che cosa hai paura, bimba mia? Chi c’era alla porta?». «Dietro la porta c’era un ranocchio bruttissimo, per questo sono corsa via terrorizzata». «E che cosa vuole da te quel ranocchio?» chiese il re. «Ieri, mentre giocavo nel bosco vicino alla fonte, la mia palla d’oro è caduta nell’acqua. Piangevo tanto e il ranocchio, che abita nella fonte, me l’ha ripescata. E poiché ad ogni costo lo volle, gli promisi che sarebbe diventato mio amico e che avrebbe trascorso le giornate con me; ma non avrei mai pensato che potesse uscire da quell’acqua. Adesso è qui fuori e adesso vuole assolutamente che io lo faccia entrare». Intanto si udì bussare per la seconda volta e gridare:
«Figlia di re, principessa,
per favore, aprimi!
Non ricordi più quello che ieri
m’hai detto come promessa
vicino alla fonte fresca?
Principessa, per favore,
aprimi la porta!»
Allora il re disse: «Quello che hai promesso, devi mantenerlo; va’, dunque, e apri la porta». La principessa, perciò, andò ad aprirla; il ranocchio entrò e, sempre dietro a lei, tutto felice, saltellò fino alla sua sedia. Lì si fermò e chiese: «Per favore, sollevami fino a te». La principessa esitò, ma il re le ricordò che aveva promesso e doveva mantenere la parola data. Appena fu sulla sedia, il ranocchio volle salire sul tavolo e quando fu sul tavolo le disse: «Adesso puoi avvicinarmi il tuo piattino d’oro, affinché io possa mangiare assieme a te». La principessa acconsentì, ma si vedeva benissimo che lo faceva controvoglia. Il ranocchio mangiò con appetito, mentre a lei quasi ogni boccone rimaneva in gola. Dopo essersi rifocillato, la ringraziò: «Grazie, ho mangiato a sazietà e sono stanco. Vorrei andare a dormire». La principessa si mise a piangere; aveva paura di quel ranocchio freddo e brutto, che non osava toccare e che ora doveva dormire nel suo bel letto pulito. Ma il re le ribadì: «Non devi disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno». Allora la principessa prese la bestiolina con due dita, la portò di sopra e la mise in un angolo della stanza. Ma quando lei fu a letto, il ranocchio andò saltelloni ai suoi piedi e protestò: «Sono molto stanco, è da ieri notte che saltello per arrivare al castello. Voglio dormire bene e comodo come te: per piacere, tirami su». «No» rispose la principessa. «Sì» insistette il ranocchio, «voglio dormire comodo anch’io su lenzuola di seta». «No, sei solo un orribile ranocchio». «E invece sì, voglio un po’ di tepore e di ristoro per le mie zampe affaticate. Sono così belle quelle lenzuola di seta. Per favore, dividile con me, anche solo un pezzettino!». Allora la principessa, che non aveva nessuna intenzione di cedere e di continuare la discussione, si arrabbiò, lo prese e lo scagliò con tutte le sue forze contro la parete: «Adesso finalmente starai zitto, brutto ranocchio!».
Ma quando cadde a terra, non era più un ranocchio: era diventato un principe dai begli occhi sorridenti. Le raccontò di essere stato stregato da una maga cattiva e nessuno, all’infuori di lei, avrebbe potuto liberarlo. Solo una principessa, figlia di re, e di una bellezza scintillante come la sua avrebbe potuto scioglierlo dalla sua condizione di prigionia. Le promise di sposarla e di portarla nel suo regno, dove sarebbero vissuti insieme. La principessa scoppiò a piangere, questa volta di felicità. Esausti da quella serata e dalle emozioni, si addormentarono. La mattina dopo, furono svegliati dal sole e dallo scalpiccio degli otto cavalli bianchi, per l’occasione col capo ricoperto da candidi pennacchi e vestiti con finimenti d’oro, della carrozza del principe. A condurla, c’era il servo del giovane re, il fedele Enrico. Enrico si era così afflitto, quando il suo principe era stato trasformato in ranocchio, che si era fatto mettere tre cerchi di ferro intorno al cuore, perché non gli scoppiasse dall’angoscia.
La carrozza doveva portare il giovane re nel suo regno; il fedele Enrico vi fece entrare i due ragazzi, salì ai comandi e s’incamminò sulla via del ritorno, pieno di gioia per la liberazione. Quando ebbero fatto un tratto di strada, il principe udì uno schianto, come se qualcosa si fosse rotto nella carrozza. Allora chiese al suo servitore:
«Enrico, qui va in pezzi la carrozza!»
«No, padrone, non è la carrozza,
bensì un cerchio del mio cuore,
ch’era immerso in gran dolore,
quando dentro alla fontana
tramutato foste in rana».
Per due volte ancora, durante il viaggio, si udì uno schianto. E ogni volta il principe pensò che la carrozza andasse in pezzi; e invece erano soltanto i cerchi, che saltavano via dal cuore del fedele Enrico, perché il suo padrone era bello, libero e felice, come prima.
Il principe e la principessa, giunti nel nuovo castello, si sposarono e vissero insieme felici e contenti. Avevano portato con sé la palla d’oro. La tennero sempre nella loro stanza, come ricordo. Senza di lei, infatti, non avrebbero mai potuto cominciare la loro nuova vita.
Cosa ci insegna la fiaba?
I simboli presenti nella fiaba sono tanti. I principali sono il bosco fitto, il tiglio, il castello, la palla d’oro, gli scalini, i cerchi al cuore. Il ranocchio stesso è un simbolo: è la rappresentazione di un motivo, in questo caso esterno, che spinge la principessa a reagire. Nella fiaba la giovane, stanca dell’insistenza del ranocchio quando vanno a dormire, lo schianta al muro. È il suo modo per ribellarsi e opporsi a una situazione che le va stretta e che non vuole più subire. Ed è proprio nel reagire che scopre la verità, di lui, di sé stessa, della situazione e del loro futuro. Sotto la pelle del ranocchio si cela un principe. E dietro il carattere pauroso e capriccioso della ragazza si cela una vera principessa, non soltanto per il titolo che le è stato attribuito. Il principe la porta via da un castello da cui vuol fuggire, e da cui trova sollievo solo nelle tante ore passate fuori dalle sue mura, nel bosco, a giocare con la palla d’oro, che rappresenta il tesoro inespresso delle sue potenzialità e che stava rischiando di perdere per sempre, accettando la situazione com’era.
Come impiegare la fiaba per te
Prova a pensare a qual è stata, per te, la tua palla d’oro. Cosa rischiavi di perdere e come hai fatto a impedirlo? Poi prendi carta e penna e prova a scrivere la tua fiaba, quella di cui sei stata (o sei stato) protagonista. Bastano anche poche righe. E non è necessario che tu mantenga il simbolo della palla d’oro, puoi sceglierne uno tutto tuo. L’importante è che tu descriva la situazione in cui ti trovavi, perché, come hai fatto a uscirne e quali potenzialità (o prospettive o opportunità) quel gesto ti ha rivelato.
E se hai bisogno di una writing coach che ti aiuti a scrivere la fiaba che c’è in te, scrivimi a info@storieinpuntadirighe.it. Sarò lieta di aiutarti!!
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Giuseppe Sabino
Bellissima!!! Emozionante ma anche un pizzico di “nervi” per la principessa che,inizialmente, era stata poco riconoscente!☺️🏆🏆🏆
Storie in punta di righe
Nella storia originale viene descritta come una bambina/ragazzina viziata e immatura. In realtà il matrimonio col principe ranocchio è stato combinato dal padre con uno stratagemma creato ad arte grazie anche all’aiuto di una strega cattiva.
Io ho cambiato la storia e ho mantenuto in parte l’immaturità della principessa ma ho anche sottolineato come la vita del castello le andasse stretta. Ecco perché, quando schianta al muro il ranocchio, lui si rivela come un principe e buono d’animo e di carattere e lei cresce quasi improvvisamente, grazie all’opportunità che le si dischiude davanti e che le apre un nuovo futuro, in cui crede sinceramente e per davvero.