IL VIAGGIO DI ALTABARRE

– Io non vedo ancora nulla, non scorgo alcuna nuova stella come scritto negli antichi testi, disse Gaspare.

– Nemmeno io – aggiunse con aria concorde Baldassarre – Non ci sono variazioni all’interno delle costellazioni e i loro movimenti sono normali. Torniamo dentro e andiamo a riposare.

Faceva freddo e non era piacevole starsene lì da tante sere a cercare un piccolo astro che non riuscivano mai a individuare.

altabarreAltabarre, al contrario, qualche palazzo più in là, era ancora fuori a osservare il cielo. Poco prima dell’estate aveva notato due pianeti ben visibili ad Oriente che brillavano intensamente e verso la fine di maggio si erano avvicinati come mai prima. Il fenomeno non era sfuggito al suo occhio attento ed esperto. Era indice di cambiamento. Era successo, poi, anche a fine settembre e non aveva più dubbi: stava succedendo qualcosa di importante. Aveva letto in alcuni libri antichi che l’arrivo di un nuovo re, portatore di pace, sarebbe stato preannunciato da un segno nel cielo. Arrivato l’inverno, aveva continuato a scrutare gli spostamenti di astri e pianeti. Sembrava non ci fosse nulla di strano, finché Giove non venne a trovarsi in una insolita posizione, risplendendo molto di più delle sere precedenti. Saturno e Marte gli si stavano avvicinando, ancora una volta lo aveva notato.

La comparsa del re era imminente. Iniziò dunque a preparare l’occorrente per il viaggio. Del denaro, per quando si sarebbe fermato nei villaggi, del cibo, per i tratti più lunghi durante i quali non si poteva fermare, tre otri d’acqua e infine i doni da portare al bambino futuro re: un rubino, uno zaffiro e una perla. Avrebbe affrontato il viaggio a dorso d’asino: ne aveva acquistato uno giovane, agile e forte da non molto e lo aveva sempre nutrito con cura e attenzione. Beniamino, il suo dromedario, non avrebbe retto le fatiche di un viaggio così lungo.

Qualche sera dopo, i tre pianeti si avvicinarono così tanto da sembrare allineati. Risplendevano di una luce chiara e leggermente dorata. Era il segno che cercava e gli indicava la direzione. Ancora una notte e poi si sarebbe messo in viaggio.

L’indomani mattina si svegliò di buon’ora, bardò il suo asino e partì. Passando davanti a casa di Gaspare e Baldassarre, vide che anch’essi erano partiti. Avevano finalmente compreso il segno.

La strada da percorrere era lunga ma non lo spaventava. Dopo un paio di giorni di cammino arrivò alle porte del primo villaggio. C’era un viandante, uno straniero, steso a terra. Era stato derubato e si lamentava per il dolore causato dalle numerose ferite infertegli dai ladri. Altabarre lo soccorse, pulendo e fasciandogli le ferite come meglio poteva. Gli diede da bere e più volte gli rinfrescò la fronte. Non potendo certo lasciarlo da solo in quelle condizioni, lo caricò sul suo asino e lo portò nell’albergo più vicino. Fece chiamare il medico e prese un paio di stanze, una per lo straniero e una per sé, per un paio di notti, in modo da assicurarsi che migliorasse. Prima di ripartire, chiese all’albergatore di essere sicuro che guarisse del tutto e utilizzò lo zaffiro per coprire le spese. L’uomo accettò di buon grado e, fatto qualche calcolo, gli diede un po’ di resto, così che la sua generosità fosse in qualche modo ripagata.

Altabarre proseguì il suo cammino. Il denaro gli era sufficiente per pernottare e mangiare. Era giunto a metà del suo percorso quando, entrato in un villaggio, sentì una donna piangere. I ladri erano entrati in casa sua e avevano rubato tutto ciò che possedeva, danneggiando i pochi mobili e le cose di scarso valore che non portarono via. Ad Altabarre si strinse il cuore. Prese il rubino e lo regalò alla donna, che, in cambio di un dono così prezioso e utile per molti anni a venire, offrì ospitalità e cibo al generoso e provvidenziale sconosciuto e un riparo al suo fidato asinello. Rigenerato da quella tappa, Altabarre riprese il cammino con forza e serenità. Aveva perso del tempo, ma non poteva non fermarsi ad aiutare chi aveva bisogno ed era solo.

Dopo aver attraversato pianure e montagne e sopportato il clima freddo, giunse nell’ultimo villaggio che la mappa gli indicava. Da lontano vide del fumo. Due abitazioni del posto avevano preso fuoco. L’incendio era stato spento ma le case erano andate distrutte. Altabarre entrò per constatare di persona. I poveri proprietari tremavano ancora di paura e con le lacrime agli occhi guardavano le macerie fumanti. L’odore del fumo era forte e serrava i polmoni. Gli rimaneva l’ultimo dono, la perla. La regalò ai proprietari delle case, perché potessero ricostruire le loro case. Sulle prime non la volevano accettare, era troppo per loro, ma poi la presero, perché non possedevano denaro e unicamente con il ricavato ottenuto dalla sua vendita avrebbero potuto ricominciare.

Altabarre si rimise in cammino. Non aveva più i doni da portare al bambino ed era in ritardo di qualche settimana rispetto agli altri.

Arrivato a Betlemme si era subito recato nel punto in cui, secondo i suoi calcoli, avrebbe trovato la casa dove il bambino sarebbe nato. Era deserta. Temette di non trovarlo più. In quel momento passò un pastore, che capì al volo chi cercasse.

– Sono andati in paese a fare provviste, torneranno tra non molto.

Altabarre lo ringraziò e, salutandolo, si mise a sedere su un masso lì vicino e ad attendere il loro arrivo.

Poco dopo, li vide. Una giovane donna che teneva in braccio il figlio di poche settimane e un uomo, suo marito, che portava il cesto col cibo e un otre pieno d’acqua. Altabarre, tremante per l’emozione, si fece loro incontro.

– Ho fatto un lungo viaggio – si mise a spiegare – per conoscere questo bambino che cambierà le sorti dell’umanità. Avevo con me dei doni da offrirgli ma lungo il tragitto ho dovuto usarli per soccorrere un uomo ferito, una donna derubata e due famiglie che avevano perso la loro casa in un incendio.

Maria sorrise e lo invitò ad entrare. Non le importava dei doni, ne aveva già ricevuti tanti.

Altabarre entrò. La loro casa era semplice ed accogliente e non volle salire al piano superiore nella stanza degli ospiti. Voleva vedere dove era nato il piccolo. Ad un tratto si scusò ed uscì: doveva prendere una cosa. Rientrò con una coperta decorata a motivi floreali rossi, bianchi, blu. L’aveva acquistata lungo il cammino per proteggersi in caso avesse fatto troppo freddo.

La porse alla madre: – Non ne ho più bisogno, la metta nella culla del bambino perché possa stare al caldo.

Maria lo ringraziò e gli offrì da mangiare. Gli chiese se volesse essere loro ospite quella sera. Altabarre non rifiutò, anzi ne fu ben felice.

Riposò tranquillo come da molto non faceva. L’indomani mattina si svegliò di buon’ora e, dopo essersi trattenuto un po’ ad ammirare il bambino, montò in sella al suo asino e prese la via del ritorno.

Qualche notte dopo, quando ormai aveva percorso un po’ di chilometri e il villaggio dove abitava il bambino era ormai distante, si addormentò ripensando a quanto gli era accaduto lungo il viaggio. Sognò un bambino che sorrideva e teneva stretti tra le manine un rubino, uno zaffiro e una perla bianca e splendente: i doni che lui non aveva potuto portare materialmente ma che erano arrivati comunque… a destinazione.

© Federica per Storie in punta di righe

PS: Questa è la mia versione del viaggio di Altabarre. Il primo a immaginarlo fu Henry Van Dyke. Nel suo racconto “The Other Wise Man” del 1896 narra dell’esistenza di un quarto re magio, Artaban, che parte da solo alla ricerca di un Re atteso da secoli. Il suo viaggio dura anni e affronta le difficoltà del deserto e le fatiche di una lunga ricerca. Ormai anziano, troverà il re tanto cercato e riuscirà infine a vederlo.

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